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Mattia Cattapan

In moto con una disabilità: Mattia Cattapan prende la patente (speciale) e torna in pista

“Grazie alla normativa e alla tecnologia nulla è impossibileneppure riprendere ad utilizzare una motocicletta, passando da una sedia a rotelle alle due ruote. Il premio è raggiungere una nuova autonomia”

Una passione smodata per i motori, un gravissimo incidente e la disabilità conseguente; poi, dopo dieci anni, il ritorno in sella, con nuovi strumenti e nuove consapevolezze, ma con la stessa energia.
Si può sintetizzare così il percorso di Mattia Cattapan, 33 enne di San Martino di Lupari (provincia di Padova), che il 12 luglio scorso ha festeggiato il conseguimento della Patente A speciale, grazie alla quale può tornare a guidare la moto (qui in foto il modello a tre ruote, ndr), dopo che il 3 marzo 2013, proprio su una moto, durante una gara agonistica di Enduro, un incidente lo rese paraplegico.
“Grazie alla normativa e alla tecnologia nulla è impossibile – spiega Mattia – neppure riprendere ad utilizzare una motocicletta, passando da una sedia a rotelle alle due ruote. È sufficiente essere motivati, e il premio è raggiungere una nuova autonomia”.

DAI MOTORI LA MOTIVAZIONE PER RIPARTIRE
La sua passione per i motori è stata da subito la spinta che lo ha aiutato a reagire, anche all’indomani della nuova condizione a seguito dell’incidente: “La mia grande passione per il mondo dello sport motoristico mi ha aiutato a ripartire – spiega -. In breve tempo sono tornato a competere nei circuiti di Autocross di tutta Italia, diventando il primo atleta con disabilità in Italia a gareggiare contro normodotati nella categoria Kart Cross, conquistando il primo posto nel 2020 e il secondo nel 2019, 2021 e 2022”.

CROSSABILI PER PERSONE CON DISABILITA’
Come spesso accade, il desiderio è stato poi quello di mettere a disposizione questa energia rinnovata per progetti a favore di altre persone nelle stesse condizioni. È così che Cattapan fonda Crossabili, un’associazione no profit che propone una serie di attività finalizzate all’inclusione, alla condivisione, al divertimento, all’autonomia e allo sport, diventato un punto di riferimento per migliaia di persone con disabilità in tutta Italia. Mattia mette a disposizione la sua associazione anche per affiancare chi desideri ottenere la patente speciale. “Concretizzare il sogno di tornare a gareggiare, alzare una coppa e vincere una medaglia non mi gratificano quanto regalare gioia, sorrisi, emozioni e anche soluzioni alle persone che incontro”.

CONSEGUIRE LE PATENTI SPECIALI
Prima dell’incidente Mattia aveva conseguito tutte le patenti, per auto e moto, ma una volta sopraggiunta la disabilità ha dovuto procedere a convertirle in patenti speciali. “Ho preso la patente per il carrello col gancio traino, per portare con me la macchina da corsa – continua -. Ora è il turno della patente per la moto, perché volevo dimostrare a me stesso che i limiti sono solo frutto della mente, quando c’è la volontà si trova sempre la soluzione. È un modo per affrontare l’inevitabile senso di solitudine che si prova quando la vita viene sconvolta e il tuo corpo non è più lo stessoma anche la paura che le difficoltà ti possano impedire di portare a termine i sogni.
Ma non è tutto semplice. Spiega Mattia che “Il percorso è lungo e purtroppo costoso. Io sono stato aiutato da Camo, membro degli Hells Angels Vicenza, che mi ha dato la disponibilità della moto per prendere la patente, e dall’Autoscuola Zonta di San Martino di Lupari, disponibile a seguirmi, cosa che non tutte le autoscuole sono disponibili a fare”.

DOPO LA MOTO LA PATENTE NAUTICA
Vulcano di entusiasmo, Cattapan non si fermerà di certo qui e, anzi, annuncia: “Ora che ho la patente per la moto sto progettando di fare un giro dell’Italia in moto, che ha tre ruote ed è sicura, insieme ad altri ragazzi con disabilità, anche come passeggeri. Inserirò questo mezzo negli eventi che organizziamo con Crossabili, dove ragazzi disabili siedono al mio fianco nella ‘buggyterapia’”.
Il prossimo obiettivo per Mattia? Conseguire la patente nautica per portare ragazzi con disabilità a conoscere il mare.

Articolo su Disabili.com

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Quando danza vuol dire integrazione diventa “danceability”

Improvvisazione, relazione, contatto, coreografie e musica per un’arte adatta a tutti. Perché si può ballare e saltare anche solo con un dito. Da Nord a Sud, ecco le principali esperienze italiane di un metodo che viene da lontano

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ROMA – Non si tratta di curare né di voler mettere a confronto l’uno con l’altro, ma di accettare ognuno così com’è. Sta qui la radice di un’idea che, grazie a tanta determinazione e a una rete continuamente in espansione, ha portato la danceability di Alito Alessi in tutto il mondo, con un marchio registrato e circa 500 insegnanti certificati in oltre 40 Paesi. Ne racconta Elisabetta Proietti sulle pagine di SuperAbile Inailrivista sui temi della disabilità pubblicata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.

Portare tutti a danzare. Danzatore e coreografo statunitense, dagli anni Ottanta Alessi si pone la questione: portare a danzare tutti; far sperimentare a tutti, nessuno escluso, la bellezza dell’arte coreutica, per troppo tempo chiusa nello scrigno di una magia avverabile per pochi eletti, dai corpi perfetti e dalle movenze già scritte. Alessi rovescia il punto di vista: tutta l’umanità, anche quella che non risponde ai canoni precostituiti della perfezione fisica o mentale, può danzare, può instaurare una relazione, respirare, variare lentezza e velocità, sperimentare anche con una sola parte del corpo ogni emozione possibile. Per esempio, chi l’ha detto che non si può saltare con un dito, cogliendo e sentendo tutto il significato del “saltare”? Fondamentale è, dice Alessi, “partire dalla persona: da come essa è dipende la danza che ne scaturirà. Il metodo cambia a seconda di chi si incontra”.

E il metodo potenzia lo sviluppo delle proprie possibilità espressive e creative senza mai isolare nessuno. Possono partecipare persone cieche, sorde, sulle sedie a ruote, con problemi cardiaci o motori, persone che apparentemente non rispondono al mondo esterno, amanti del mondo dello spettacolo o danzatori professionisti. Ognuno può lavorare in modo collaborativo e si può esprimere con quello che trae e che apporta al gruppo. La danceability, che lo stesso suo fondatore definisce “studio dell’improvvisazione del movimento”, anche in Italia conta insegnanti certificati e viene praticata in diverse città e contesti, messa in pratica da singoli docenti o team, associazioni, compagnie.

La forza sta nell’inclusione. Eleni Tsili è danzatrice, educatrice di movimento artistico e insegnante certificata di danceability, lavora tra Roma, Grecia e Germania: “La forza di questo lavoro sta nell’inclusione. La cosa più importante è trovare modi di comunicazione, capire che le cose invisibili che ci limitano sono molte di più delle disabilità evidenti”. E non ci sono differenze, quando si tratta di superare i propri limiti, tra persone disabili e non: “Ci mettono in difficoltà i nostri limiti personali, che scopriamo e non sapevamo di avere”. Danzando, il movimento fa aprire verso gli altri e quello che si sperimenta, in sostanza, è la gioia: “Avere uno spazio in cui relazionarsi con gli altri attraverso il movimento è gioia enorme”.

Chi può partecipare ai corsi di danceability? “Tutti a partire dai 15 anni in su”, risponde Eleni Tsili. Si formano gruppi integrati di sette-dodici persone e percorsi che vanno dai tre mesi a un anno. “Lavoriamo con un gruppo satellite, anch’esso costituito da persone con disabilità e non, che collaborano al progetto”. Aggiunge Tsili: “Il mio compito è di agevolare una possibilità. È un progetto artistico fatto di improvvisazione, esplorazione. Poi man mano insieme si costruiscono sequenze, piccole coreografie”. E, grazie a specifiche modalità e con la collaborazione dell’altro, anche chi ha problemi mentali o di memoria può ricordare le coreografie. Ancora nella capitale l’associazione culturale Fuori Contesto insegna e promuove teatro e danceability per tutte le fasce di età e organizza festival in spazi urbani aperti, coinvolgendo il pubblico in strada. “Il corpo è strumento di educazione all’incontro e alla relazione”, chiarisce Emilia Martinelli che di Fuori Contesto è fondatrice oltre che direttrice artistica, autrice e regista. La scelta della danceability per Emilia è scaturita dalla partecipazione a un laboratorio della Uildm Lazio. “Insegno a circa 200 persone a settimana e ogni incontro mi emoziona, mi stupisco sempre”. Spiega: “La danceability è un codice che permette a tutti di danzare in relazione. Il suo fondatore ha “spacchettato” i codici della danza contemporanea. È molto importante che ci si ascolti reciprocamente, perché l’azione dell’uno dipende dall’azione dell’altro. Ed è uno strumento che facilita tutti, dai bambini agli anziani”. Quale difficoltà riscontra più spesso? “La difficoltà per tutti, persone disabili e non, è approcciarsi a un linguaggio differente. Nella danceability i ruoli si ribaltano di continuo. Tutti colgono che sono persone con la stessa dignità degli altri”.

Tra le diverse altre esperienze italiane di danceability a cui ci si può rivolgere ci sono il centro Oriente Occidente del Trentino Alto Adige, “Ottavo giorno” di Padova, “Deos Danse Ensemble” di Genova, “Choronde” di Roma con Sarah Silvagni, “Let’s dance” a Reggio Emilia. Infine la rete internazionale Danceability.com dà conto delle principali esperienze nei vari Paesi. Ognuna di esse mette al centro l’impegno per un mondo più libero da pregiudizi e barriere.

 

Articolo su Redattore Sociale

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Università impreparate alla disabilità, la denuncia degli studenti: “Per il bagno devo avvisare una settimana prima”. “Io torno a casa”

La legge n.17 del 1999 impone alle università italiane di offrire adeguati servizi, sia per l’accesso fisico alle strutture sia per le normali attività didattiche. Invece ci sono carenze di assistenti personali, di materiale didattico e di banchi, aule e strutture accessibili. Cinque studenti raccontano la loro esperienza diretta a Ilfattoquotidiano.it

Articolo di | 29 agosto 2018
Pochi assistenti personali per seguire le lezioni all’università o aiutare a sostenere gli esami scritti, mancanza nelle aule di banchi accessibili per le carrozzine, servizi di trasporto quasi inesistenti, oltre alle enormi difficoltà per andare al bagno e alla carenza di materiale didattico da fornire a quei ragazzi che non possono prendere appunti. È la situazione in cui si trovano a vivere, tutti i giorni, moltissimi studenti con disabilità iscritti negli atenei italiani. Le cose non dovrebbero funzionare così. Infatti la legge n.17 del 1999 impone alle università di offrire adeguati servizi agli studenti disabili, sia per ciò che riguarda l’accesso fisico alle strutture sia per le normali attività didattiche.

“Tutte le volte che devo andare al bagno e non sono nell’edificio principale della mia università, sono costretto ad inviare una mail alla segreteria disabili una settimana prima (sempre entro il mercoledì successivo), dicendo che il giorno x all’ora x ho bisogno di qualcuno che mi porti in bagno, ma queste sono cose che non posso prevedere“. A raccontarlo a Ilfattoquotidiano.it è Pasquale Improta, ragazzo con atrofia muscolare spinale, iscritto al secondo anno della facoltà di Giurisprudenza dell’Università Bicocca di Milano. Oltre a lui, anche altri quattro studenti con disabilità hanno raccontato la loro esperienza diretta, tra chi ad andare al bagno proprio ci rinuncia e torna a casa, chi dopo le ore 15 rimane senza un trasporto “mentre spesso le lezioni finiscono alle 18”, chi devo scrivere da solo durante gli esami e ha giusto un assistente “che mi gira le pagine” e chi non può neanche accedere alla mensa per mangiare con i colleghi. Ci sono anche aspetti positivi, tengono a dire, ma spesso sono semplicemente la gentilezza dei docenti e del (poco) personale a disposizione.

Gli studenti raccontano di disservizi e criticità presenti anche in altri atenei milanesi e non. Il sistema universitario ha sostanzialmente due problemi. Da una parte permettere l’accesso fisico alle strutture per tutti. Dall’altra garantire il diritto allo studio, con attrezzature tecniche, forme individuali o collettive di ausilio tecnico-funzionale, specifico materiale didattico e personale di sostegno. Con l’emanazione della legge di quasi un ventennio fa, l’impegno degli atenei nei confronti degli studenti disabili si è indirizzato non solo nella direzione dell’abbattimento delle barriere architettoniche ma anche nel riconoscimento di particolari agevolazioni contributive a beneficio delle famiglie. Ma quanto è stato fatto non è sufficiente, come raccontano gli stessi studenti a Ilfattoquotidiano.it. Continua a leggere “Università impreparate alla disabilità, la denuncia degli studenti: “Per il bagno devo avvisare una settimana prima”. “Io torno a casa””

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Bastano 2mila euro per iscriversi al master in marijuana a Padova

Durerà un anno e servirà a studiare le caratteristiche etno-botaniche ed etno-farmacologiche della pianta

Hemp lies on the kitchen table at Sisters of the Valley near Merced

Arriva il master in marijuana. A crearlo è stata l’università di Padova. L’obiettivo del corso di studio è che lo studente apprenda le caratteristiche etno-botaniche ed etno-farmacologiche della pianta denominata Cannabis sativa, ai fini del suo utilizzo nei diversi ambiti farmaceutico e medicinale, agroindustriale e alimentare.

La sede del corso è presso il Dipartimento di neuroscienze e prevede una quota di iscrizione di 2 mila e 40 euro. La domanda – ma per essere ammessi è prevista anche una prova scritta – va presentata entro il 19 settembre 2017.

 

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